A seguito di una battaglia giudiziaria intrapresa nel 2009 e durata, quindi, 7 anni, la Suprema Corte non ha condiviso questo punto di vista: scrivono i Giudici che «le piattaforme petrolifere sono soggette ad Ici e sono classificabili nella categoria D/7, stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, alla loro suscettibilità di accatastamento ed a produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura».
Giova ricordare, a tal proposito, che il Codice Civile, all’art. 812 prevede che è da considerarsi bene immobile «il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati a esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione». Tutti i restanti beni debbono pertanto ritenersi “beni mobili”.
La definizione, rimarcata dalla Corte, non lascia spazio a interpretazioni.
Come si è posta la Corte circa la contestazione della mancata iscrizione al catasto? In proposito, gli ermellini hanno scritto che «in mancanza di rendita catastale, la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella categoria D/7, è costituita dal valore di bilancio, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3 dell’art. 6 del d.legge 11 luglio 1992, n. 33, cioè in base al valore costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili».
Quale conseguenza, quindi? Il fascicolo tornerà innanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo che sarà vincolata a emanare una nuova e diversa sentenza che si adegui ai dettami della Cassazione, il che comporterà una condanna vicina ai 35 milioni di euro.
Immediata la reazione dell’ENI, il quale con una nota prende le distanze dalla sentenza, non ritenendo di dovervi dare esecuzione. L’ente nazionale idrocarburi fa presente che «La sentenza della Corte di Cassazione interviene dopo che la legge di Stabilità 2016 con la norma sui c.d. imbullonati ha escluso gli impianti, fra i quali rientrano ovviamente anche le piattaforme petrolifere, dal pagamento di Ici/Imu. Questo intervento normativo, sollecitato da tutte le imprese d’Italia, che sostanzialmente azzera dal 2016 gli effetti della recente pronuncia della Cassazione sulle piattaforme è altresì la dimostrazione della grande irrazionalità di applicare agli impianti produttivi le imposte concepite per i plusvalori immobiliari e per il finanziamento dei servizi locali».
Si preannuncia un nuovo durissimo scontro giudiziario.